
C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un grande re molto potente e molto crudele di nome Dahik che soffriva di una strana malattia.
Dei tanti medici accorsi da tutte le parti del regno per curarlo, solo uno riuscì ad individuare un rimedio. Questo rimedio non era proprio per guarire il monarca in modo definitivo dal misterioso male che lo colpiva. Ma perlomeno riusciva a darli forza e a tenerlo in vita.
Il re, per restare vivo, doveva periodicamente bere il sangue di un giovane fanciullo maschio in buona salute.
Così, da quel giorno, almeno una volta la settimana Dahik si faceva portare un giovane fanciullo sano e forte, lo faceva dissanguare e beveva il suo sangue.
In una piccola località vicina al castello di Dahik viveva Daku, un povero fabbro, con sua moglie e i suoi sette figli. I figli di Daku erano tutti belli e forti, abituati sin dalla giovane età ad aiutare il loro padre nel suo duro lavoro.
I soldati del re cominciarono a prelevare uno dopo l’altro i figli di Daku. Cominciando dal maggiore. Il fabbro e sua moglie piangevano tanto, ogni volta. Ma, poi, si arrendevano al loro destino e accettavano la sciagura che colpiva tutti gli abitanti del regno e non solo loro.
Il Re aveva evidentemente apprezzato il sangue dei figli di Daku. Perché dopo il maggiore si fece portare il secondo, poi il terzo, poi il quarto e così via. Fin a quando toccò al più piccolo, il preferito del padre e della madre. Era ancora tenero, gentile, allegro e tanto tanto bello, al punto che in paese era amto da tutti.
A questo punto Daku non ce la fece più. L’ingiustizia era arrivata al suo colmo. Prese in mano la spada che aveva appena finito di forgiare e uccise gli inviati del re. Poi, si lanciò da solo all’assalto del Palazzo. Uccise le guardie all’ingresso del palazzo, colte di sorpresa, e si trovò così faccia a faccia con Dahik il tiranno.
Questi tentò di calmare Daku proponendogli soldi, onori e potere. “Ti prego, Daku -disse il Re- se risparmi la mia vita, ti faccio grande vizir, e ti copro di oro.”
Ma a Daku non interessavano più, né ori, né onori, né poteri. Voleva solo la fine della tirannia. Era deciso a farla finita definitivamente con l’oppressione. E quindi d’un solo colpo di spada taglio la testa del tiranno.
Quando, la popolazione venne a sapere la notizia, tutti furono contenti della fine dell’oppressione e decisero di annunciare la buona notizia a tutto il paese.
Allora, per far capire a tutti i villaggi e città del Regno che qualcosa di eccezionale era accaduto, hanno acceso sui monti del paese dei grandi fallò che si potevano vedere da molto lontano.
È da quel giorno che la data rimase simbolo della vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre, della primavera sull’inverno e fu chiamata Nowruz (giorno nuovo). Un giorno nuovo era nato.
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Questa leggenda mi fu raccontata da un vecchio Kurdo
il 21 marzo 2005, nelle alture di Dahuk nel Kurdistan iracheno.