“Batterio killer” lo chiamano ormai i mezzi di informazione di massa sempre assettati di titoli “ad effetto”. “Il batterio killer uccide ancora”, “Caccia alla matrice del batterio Killer”…
Ovviamente come è ormai di tradizione nella cultura moderna (o forse da sempre) il male non poteva provenire dalle nostre verdi praterie. E allora ecco che spunta la teoria del “Cetriolo mannaro”, oppure del “El pepino matador”. In provenienza dal sud. Sempre! Tutto pur di non riflettere seriamente su questo e altri disastri. Chiudiamo gli occhi e andiamo avanti così.
Pochi giorni dopo la scoperta di una nuova specie batterica che ha causato la morte di circa 25 persone (24 in Germania), le autorità tedesche hanno puntato il dito in modo chiaro e deciso. Il colpevole c’è. É il cetriolo. E non qualsiasi cetriolo. É il cetriolo spagnolo: “El pepino matador”.
Ovviamente, se male c’è, non poteva provenire dai prodotti nostrani, dalle nostre verdi praterie germaniche, sulle quali una volta cavalcavano i gloriosi eroi e le belle valchirie delle saghe nordiche. Il male non poteva provenire che dall’Altrove. E se possibile da un altrove più a sud, identificato come inferiore. Non dimentichiamo che nell’immaginario popolare tedesco spagnoli, portoghesi, greci e italiani sono quello che sono i terroni per il padano medio o l’extracomunitario per l’italiano medio. Ad ognuno il suo capro espiatorio.
E invece, niente. Hanno dovuto rimangiarsi le loro accuse. Non senza avere creato il panico generale in tutta Europa e un piccolo disastro per i produttori di cetrioli in modo particolare e di ortaggi in genere.
Oggi invece si dice che le cause sono state individuate (ANSA) . Il germe incriminato sarebbe proveniente da una partita inquinata di germogli di legumi prodotta da una “arianissima” ditta di Amburgo. Cioè nello Schleswig-Holstein, il più settentrionale dei 16 stati federati della Germania. Più a Nord di così muori assiderato.
Ma ormai in tutto il mondo è diventata prassi normale quella di cercare colpevoli esterni ad ogni emergenza sanitaria e/o alimentare. La diossina degli altri è sempre più avvelenata, la mucca dei vicini è sempre più pazza. I volatili portatori di aviaria non passano le nostre frontiere. E anche le nubi nucleari obbediscono a precisi ordini delle polizie di frontiera.
Al mercato la menzione “roba nostrana” è ovunque considerata garanzia di pregio. Come se i pesticidi, gli anticrittogamici e i conservanti locali fossero meno cattivi di quelli degli altri. Come se le tonnellate di antibiotici mescolati nel mangime degli animali nostrani fossero vitamine. Come se le acque del “mare nostrum” fossero meno, o forse meglio, inquinate degli altri.
Come si sa, la vecchia formula del nazionalismo in tempi di crisi funziona sempre. E le crisi alimentari e/o sanitarie rispondono alle stesse regole. Se c’è da morire, meglio morire con i veleni nostrani.
Ormai ci siamo abituati a non affrontare i problemi seriamente ma a trovare degli escamotage per vivere con. Le disuguaglianze stanno creando troppi flussi migratori, cerchiamo di alzare muri, di armare forze militari e paramilitari (vigilantes), di affondare i gommoni in mare, di ingrassare qualche Gheddafi di turno per fare da guardia. E poi andiamo avanti così.
L’aria è inquinata vediamo di imparare a respirarla così come è, vediamo di imparare a convivere con il riscaldamento, vediamo di fare qualche domenica ecologica, apriamo una pista ciclabile di più, mettiamo qualche bici comunale in bella esposizione… e poi andiamo avanti così.
L’agricoltura, che era una volta il mestiere più nobile dell’uomo, quello che dà da mangiare, oggi è diventata un problema più che una risorsa. Sovrapproduzione e spreco da una parte e fame in aumento dall’altra, terre e acque inquinate, talvolta in via definitiva. Cibi sempre meno buoni e sempre più dannosi per la salute. Tecniche di allevamento disumane e dannose per l’ambiente e per la distribuzione degli alimenti. Infatti i cereali che potrebbero sfamare i più poveri servono a nutrire gli animali per produrre sempre più latte, carne e uova… Mentre una parte del globo muore di denutrizione, l’altra metà è obesa e soffre di malnutrizione. Ma andiamo avanti così.
Anche la sanità sta diventando un problema. É chiaro ormai che la visione guerriera della sanità: individuare il male e bombardarlo con antibiotici o prodotti chimici, sta diventando più un male che un bene. Se per circa due secoli è stata una specie di rivoluzione che ha eliminato malattie devastatrici come la peste e il vaiolo e ha allungato la vita media delle persone (nei paesi benestanti) a livelli mai sognati prima. Dall’altra parte oggi è chiaro che sta esaurendo le sue risorse. Ormai si è capito che sebbene abbiamo vinto molte battaglie, la guerra contro la malattia non sarà mai vinta. Eradicata una ne nasce una nuova. L’uomo è mortale e lo sarà per sempre. Ma la guerra sanitaria, come ogni guerra è un “gran giro de quattrini”. E allora non facciamo medicina preventiva, educazione sanitaria, non rinunciamo ai bombardamenti chimici e antibiotici. Anzi aumentiamo sempre la dose. Inventiamo cocktail sempre più potenti. Inventiamo mali e antidoti per far girare il business. E impariamo a vivere con la guerra alle malattie. E andiamo avanti così.
È chiaro ormai a tutti che la scelta nucleare è criminale e assassina , ma si fa finta di non vedere e, se arriva il disastro, semplicemente chiediamo ai media di non parlarne. Per non diffondere allarmismi. (chi sente ancora parlare di Fukushima che continua e, ormai è appurato, è la catastrofe nucleare più grave della storia). Facciamo finta di ignorare il grave problema delle scorie che si accumulano e delle quali non sappiamo cosa fare tranne bombe atomiche… ignoriamo tutto e andiamo avanti cosi.
Continuiamo a non affrontare i problemi alla base. Continuiamo a far finta, a raccontarci bugie gli uni agli altri. Continuiamo a buttare il gatto morto nel cortile del vicino. Intanto c’è chi si arricchisce, c’è chi si fa la cresta sulla guerra, sull’inquinamento, sulla radioattività, sui pesticidi, sulla plastica, sui veleni. C’è business in ogni disgrazia. Fin quando ci accorgeremo un giorno, come dice il proverbio indiano che i soldi né si possono mangiare, né bere, né respirare.
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