A Torino, dall’epoca della “rivoluzione industriale della gianduia”, le ondate migratorie non hanno mai smesso. Montanari piemontesi, veneti, meridionali e poi da tutto il mondo. Ma questo cosmopolitismo sociale non si rispecchia nella dirigenza politica della città.
Di rapporto tra la politica locale e i cosiddetti “extracomunitari”, ne abbiamo parlato con Dorcas Mpemba (Congo) operatrice culturale; Younis Tawfik (Iraq) scrittore; Franco Trad (Libano) architetto; Suad Omar (Somalia) consigliera in circoscrizione 8; e infine con Vojslav-Vojcan-Stojanovic (Serbia), responsabile regionale immigrazione del PRC.
Il sentimento più condiviso è quello della chiusura. Contrariamente alla presenza dei campanelli della città, sulle liste delle giunte locali scarseggiano anche i cognomi meridionali. Quanto agli “stranieri”…
«Già un sindaco di origine meridionale a Torino, sarebbe una rivoluzione. Più dell’elezione di un nero alla casa bianca» dice Tawfik. Vecchi, maschi e piemontesi: è la definizione della “casta” regnante a Torino, secondo Dorcas. «Nessuno spazio per i giovani, per le donne e per chi viene da altrove». «È un sistema che ufficialmente è democratico ma nella sostanza è feudale» spiega Franco Trad. «Ci sono i baroni e dietro di loro ci sono i delfini: figli, fratelli, mogli, amanti e fedeli vari». L’altro sentimento condiviso è quello dell’uso strumentale del nome e della faccia “colorata”: «Ti chiamano poco prima delle elezioni, per usarti e buttarti dopo» dice Dorcas. Tawfiq, invece, si ricorda come ha saputo dai giornali sia di essere stato proposto come capolista dell’Ulivo, sia di essere stato poi completamente rimosso dalla stessa lista “per salvare il voto cattolico”. «Rimani sempre con l’etichetta cucita addosso: nero, straniero, musulmano. Anche l’intellettuale Mohamed Aden, dopo la sua esperienza in consiglio comunale (1997-2001), diceva che si è sempre sentito ‘Lo straniero’ nello sguardo dei colleghi». I sentimenti sono uguali, sia a sinistra che a destra. «I principi di apertura ci sono, ma i pregiudizi sono duri da sconfiggere anche a sinistra», dice Vojkan. Sul da farsi, invece, si dividono. Tawfik sogna di un nuovo partito “laico e plurale”. Dorcas preferisce fare politica“tramite la cultura e il sociale”. C’è chi continua a lottare dentro i partiti «perché niente si regala in questo mondo», dice Vojkan. Suad è già sicura di presentarsi alle prossime amministrative. «Gli elettori, se dimostri di essere onesto e serio, non guardano al colore o all’origine. Alle ultime elezioni regionali, nella circoscrizione 8, dove la gente mi conosce, ho preso un sacco di voti».