agora.jpgVenerdì scorso sono andato a vedere anche io Agorà, il film di Alejandro Amenábar sulla filosofa Greco-egiziana Ipazia che viveva nell’Alessandria d’Egitto a cavallo tra il VI° e il V° secolo DC.

Ci sono andato attratto come molti dalla pubblicità negativa fatta al film dagli ambienti cristiani più intolleranti. Ci sono andato un po’ per vedere se veramente questo film mostrava i crimini del cristianesimo dei primi secoli nei confronti delle altre fedi e dei liberi pensatori e un po’ per vedere come veniva raccontata la Alessandria d’Egitto sotto dominio romano.

Mi aspettavo un bel film sul passato … ma mi sono trovato di fronte il presente.

In molti hanno visto in questo film la guerra tra il libero pensiero ellenico e il pensiero unico monoteista. E c’era anche quello, effettivamente.

Sotto gli ordini dei vescovi più virulenti, i volontari dell’antico ordine cristiano dei “parabolani” erano lavoratori instancabili per curare i poveri malati e dare aiuto a chi non aveva niente. Ma erano nello stesso tempo veri e propri soldati di cristo. Ma soldati per davvero, non metaforicamente. Aiutare i poveri e utilizzare la popolarità raccolta e il senso di gratitudine per controllare la città, poco a poco cominciando dai bassifondi fino a strangolarla. Quella era la loro strategia vincente.

È in quello che ho visto il presente. Quelli, per me, non erano per niente “Iperbolani”, non erano gente di 1500 anni fa. Erano personaggi del presente. Assomigliavano come gocce d’acqua ai militanti del Fronte Islamico della Salvezza in Algeria, erano i Fratelli Musulmani d’Egitto, Erano talebani afghani, ma erano anche le orde fasciste che stanno crescendo in tutto l’Occidente opulento.

Nel frattempo, la nostra Ipazia, cosa faceva? Ebbene, viveva tra la biblioteca di Alessandria e il suo palazzo, circondata da lusso, libri e schiavi pronti ad obbedire ad ogni suo ordine. Leggeva molto, rifletteva molto, parlava ai suoi studenti per ore e ore. Di filosofia e di astronomia… Aveva molto la testa tra le stelle e poco i piedi per terra. Ma non era solo lei. Era tutta una classe intellettuale che più le cose andavano male fuori più si rinchiudevano nel loro tempio della sapienza. Hanno passato tutta la loro vita a studiare il mondo nei libri per spiegarlo a tutti. Ma quando questo mondo ha cominciato a cambiare, tutti se ne sono accorti tranne loro. Anche quello mi ha ricordato tantissimo il presente.

Ci ho rivisto la classe media algerina, quella dei paesi arabi musulmani, che negli anni ottanta era ancora rinchiusa all’università o nei circoli letterari a discutere se era meglio Bucharin, Trotskj o Lenin, mentre fuori i fratelli musulmani controllavano i quartieri popolari.

Mi ricordo, quando gli islamisti avevano vinto le elezioni in Algeria schiacciando tutti, la classe media svegliatasi da un lungo sonno si esclamò, come gli intellettuali della Biblioteca di Alessandria: “ Ma da dove escono tutti questi…?!!”

Poveri. Non sapevano che quelli nascosti erano loro. Non gli altri.

Mi ha ricordato anche quello che diceva Ascanio Celestini della sinistra Italiana: “leggono i libri, chiacchierano tra di loro, sorseggiano whisky e giocano a Bridge…”

La gente vera gli fa schifo. Non li vanno più a trovare. Non ci parlano più da decenni se non dall’alto dei palchi elettorali. E se invece votano contro di loro, è perché sono ignoranti, incoscienti, intolleranti…

Fanno finta di non sapere che lo stesso sistema che li mantiene per curare la sua vetrina, per far vedere quanto è raffinato, per dare una parvenza di libertà ai suoi meccanismi oppressivi…. che quello stesso sistema tiene sempre nascosti nel suo seno qualche mostro da tirare fuori per fare ordine nei momenti di vacche magre.

La bella democrazia borghese, la sua cultura raffinata, la sua libertà di pensiero (soprattutto sulle cose astratte)… sono un prodotto di lusso, molto costoso. Il suo motore è la potenza economica e militare. Il suo olio è l’opulenza. Il suo carburante è lo sfruttamento dei poveri, degli schiavi, dei paesi del terzo, quarto mondo… Era così all’epoca di Ipazia. É ancora così oggi.