Questa Lettera/riflessione è una risposta ad una precedente lettera di Piero Terracina mandata sulla lista RE-esistenza (ex ANED -Torino) (*) la potete leggere in fondo a questo articolo.

Torino, 3 Ottobre 2008

Caro Fratello,

Le scrivo questa lettera. Penso verrà lunga. Uno perché ho problemi a sintetizzare, secondo perché quello di cui le voglio parlare è una cosa seria e le cose serie richiedono tempo e pazienza. Mi scuso quindi in anticipo e la ringrazio per la sua pazienza.

Mi chiamo Karim Metref. Sono Cittadino algerino. Vivo in Italia da dieci anni ormai e spero di poter restarci ancora per un bel po’, clima socio politico permettendo…
Le sottolineo questo dettaglio per vari motivi. Uno dei quali è il fatto che spostandomi dall’Algeria in Italia, ho avuto modo di guardare le cose con angolazioni diverse. E forse se fossi rimasto in Algeria non avrei mai nemmeno pensato le cose che sto per scrivere.

Leggendo la sua lettera, ritrovo le stesse parole di mio padre.

Nato nel 1935, quando nel 1954 scoppia la guerra di indipendenza mio padre aveva 19 anni. Si arruola molto presto insieme ad un suo nipote (figlio della sorella maggiore ma di un anno più grande di lui) nelle file della rete civile di sostegno alla resistenza. Ma quando un loro compagno venne sottomesso a tortura nella caserma del nostro comune, fece i loro nomi. Mio cugino fu avvertito in tempo e raggiunse i «maquisards» in montagna. Muore qualche anno dopo sul campo di battaglia.

Mio padre invece che era ancora studente fu prelevato dai soldati all’uscita dal suo liceo e portato in caserma.

I primi giorni di detenzione furono i più terribili. quel breve e infinito periodo in cui l’esercito non annuncia il tuo arresto alla giustizia e ti tiene nascosto in qualche cantina per tentare di tirarti fuori il massimo di informazioni possibili, quello è il più drammatico per i tanti prigionieri di quella guerra e presumo anche di altre.
Sono solo quei giorni. non si sa quanti. A distanza sembra siano stati anni. addirittura più della pena scontata poi da mio padre dopo il processo. In realtà non deve essere stato più di due tre settimane, forse un mese. Ma che mese!

Un mese in cui mio padre fu sottomesso a tutti i tipi di tortura possibili e immaginabili: elettricità, acqua, freddo, caldo, violenza sessuale… Ma la cosa che più lo fecce soffrire è stato di vedere suo padre e i suoi fratelli torturati e umiliati davanti a lui, per colpa sua. Oppure le continue incursioni notturne a casa di mio nonno, delle quali i soldati non mancavano mai di informarlo.

Tutte queste cose ha visto mio padre. Ma si ritiene fortunato, perché – come dice lei- lui è sopravvissuto. Circa un milione di algerini invece non ce l’hanno fatta. Un milione su 9 milioni sono una persona su nove. Tenga conto in più che la guerra si è svolta veramente in poche regioni del vasto territorio algerino. In Cabilia, la regione che più di tutte ha pagato il prezzo, secondo alcuni studi, dopo l’indipendenza, c’era una media di cinque donne per un uomo.

Un mese, forse meno, è rimasto mio padre in quella cantina eppure parlandone, ancora oggi che sono passati più di cinquanta anni, sembra appena uscito dalla sala di torture. Il dolore è tutto lì… Intatto!

E’ ovvio che ancora oggi, a mio padre, è impossibile ridimensionare l’entità delle sue sofferenze. è ovvio che, per lui, il nostro popolo sia quello che ha più sofferto nella storia dell’umanità e che la Francia sia il male assoluto. Punto.

Ancora oggi se qualcuno cerca di dire qualcosa, lui comincia a gridare: “ah…! sono queste le verità che vi hanno insegnato i vostri signori francesi! (o occidentali, secondo i casi…)”
E’ la legge del “o sei con noi o contro di noi”.  Non ci sta niente in mezzo. A mio padre non si può citare un qualche sbaglio del Fronte di Liberazione Nazionale (e ce ne sono stati!) senza prendere del “Harki” (collaborazionista) è così e non può essere altrimenti.

Allora oggi tento di dire a lei, tutte quelle cose che non sono mai riuscito a dire a mio padre.

Mi ci è voluto del tempo e della ricerca per chiarire un po’ di cose. La psicologia moderna mi ha aiutato tanto. Uno psicanalista, in particolare, Bruno Bettelheim, che ha conosciuto anche lui le sofferenze e il campo, mi ha aiutato tanto. Gandhi poi è stato illuminante. Nelle mie letture qualche risposta ho trovato .

Una delle risposte che ho trovato si chiama “l’egocentrismo della vittima”.

Chi è vittima (e vittima, lo si è dal momento in cui si accetta questo ruolo). Chi è vittima è rinchiuso nel suo dolore. Non c’è niente altro al mondo. è la vittima universale! E nessuno, all’infuori di se stessi, può essere considerato vittima in ugual modo.

Qualche anno fa, accompagnavo, come interprete volontario, un amico tibetano che faceva un giro di conferenze nel nord Italia. Erano tempi non più sospetti. La Cina aveva già accettato le condizioni del WTO e del libero commercio e quindi le star di Hollywood avevano già smesso da un pezzo di promuovere la causa tibetana. Non andava più di moda. 
In un dibattito, in Trentino, qualcuno fece un paragone tra i due popoli, tibetano e palestinese, entrambi da 60 anni costretti ad errare sparsi per il mondo… E il nostro uomo, finora sempre molto calmo, molto cortese, si scatena contro l’intervento del mal capitato. Dice di essere stufo e molto offeso che in Europa si faccia sempre questo paragone con la Palestina. Che non c’è nessun paragone possibile tra i due popoli, né tra le due questioni, segue una descrizione del conflitto medio orientale secondo cannoni manichei (israeliani brava gente / palestinesi terroristi.. .- Il nostro ragazzo è cresciuto per buona parte negli Stati Uniti -NDR-) e poi scatta il giudizio universale: “Comunque, sofferenze come quelle del popolo tibetano nessuno le ha patite in questo mondo!” Tutto lì.

E’ vero che tutto è questione di punti di vista.

La sofferenza degli altri è tutta teorica, la mia è concreta, tangibile. In algerino si dice: “la brace la sente soltanto chi la calpesta”. Gli altri possono anche filosofare e dire che, tutto sommato, camminare su un carbone ardente non è così doloroso… Ma è altrettanto vero che del dolore bisogna pur liberarsi, prima o poi. Mio padre ha sofferto. Se lui non riuscirà mai a liberarsi del suo dolore, io non lo voglio in eredità. Non voglio né il dolore né tanto meno l’odio che ne deriva.

Poi la memoria del dolore diventa sempre un fondo di commercio. Ed è troppo spesso mantenuto vivo soprattutto da gente che quel dolore non l’hanno vissuto. Nel mio paese questo si esprime nel regime instaurato dopo l’indipendenza.

La lotta dei partigiani è stata sequestrata il 5 luglio 1962 da un esercito, detto Esercito delle Frontiere, formato nei campi profughi in Marocco e in Tunisia. Fatto di ufficiali e soldati riparati all’estero, che non hanno mai sparato una pallottola contro l’invasore né patito né il freddo delle montagne, né la fame e le privazioni.

Era un esercito ben armato, ben vestito, ben nutrito e addestrato da esperti militari di varie nazionalità e da una schiera di ufficiali algerini formati nelle buone scuole militari francesi, ufficialmente disertori dall’esercito francese pochi giorni prima del cessate il fuoco… Insomma la solita storia:  tutti fascisti poi, subito dopo, tutti partigiani… No?
Questo esercito entra dopo l’uscita dei francesi e, arma in mano, prende il potere assalendo i quattro fantasmi, ormai sfiniti, affamati, vestiti di stracci e quasi senza munizioni, che scendevano dalle montagne.

Ebbene il regime nato da questa rapina a mano armata ci ha tenuti e ci tiene ancora da decenni sotto il ricatto del sangue dei morti, della sofferenza del popolo…

Intanto hanno riassunto e subito rimesso in servizio i torturatori algerini che avevano lavorato per i francesi (le professionalità non si sprecano) contro chiunque non era con loro.

Emblematica è la storia di Bachir Hadj Ali, grande poeta e allora segretario generale del Partito Comunista Algerino, che fu torturato dai francesi perché partigiano e dagli algerini, pochi anni dopo, perché “agente del nemico” (cioè la Francia). O con noi o con loro!

Io non nego che mio padre abbia sofferto. Non sono contro mio padre (anche se lui spesso stenta a crederlo).  Ma non mi lascio dominare in nome della sua sofferenza da coloro che tale sofferenza non l’hanno vissuta e forse anche ci hanno contribuito, almeno alcuni di loro.

E qui finalmente arrivo al dunque. La sofferenza degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale è reale. Non è una invenzione. E’ stato un episodio terribile. Uno dei più neri della storia dell’umanità.

Ma questa sofferenza, così terribile di per sé, è stata anche enfatizzata dalle potenze occidentali che sono riuscite a cancellare, sacrificando il grande tiranno germanico, tutto il male che avevano fatto loro attraverso il mondo.

Chi ne poteva parlare, dopo la sconfitta del grande male, di quelle “piccole briciole” commesse di qua di là, in giro per il pianeta? La tratta dei neri? il colonialismo? la cancellazione di popoli interi nel “nuovo mondo”?

Chi poteva rimproverare a Degaulle, «liberatore» della Francia dal nazismo. di aver fatto massacrare in Algeria circa 30.000 persone durante i festeggiamenti del 8 maggio 1945? e in Madagascar ? Chi può parlare dei soldati senegalesi che dopo aver contribuito a liberare l’Europa, sono stati massacrati nelle caserme in Senegal … per aver chiesto una paga uguale a quella dei bianchi?

I milioni massacrati dal Giappone in Asia, in nome della superiorità razziale anche lì? chi ne poteva parlare quando ormai il Giappone era diventato alleato nella nuova guerra contro il pericolo rosso

Poi degli Italiani in Africa? E’ vero che sono rimasti poco, ma in quel poco si sono dati da fare. Anche parecchio …

Una domanda mi viene in mente.

La Germania ha pagato. Continua a pagare, poco a poco, lentamente, con difficoltà… Ogni tanto fa la furba anche lei… ma il principio c’è!
Ma chi altro ha pagato? quanto ha dato la Gran Bretagna alle sue ex colonie per i massacri compiuti lì? Quanto ha risarcito la Francia all’Africa?  Quanto ha pagato la stessa Germania ai popoli dell’Africa nera sui quali ha sperimentato per primi il metodo dei campi di sterminio? Quanto ha pagato ai Rom?
Quanto dovrà pagare la Spagna e il Portogallo ai nativi americani? E gli Stati Uniti alle nazioni africane e alle sue popolazioni nere discendenti degli schiavi, cosa devono dare?

O quelle sono tutte bricioline?

Dicendo tutto ciò so di rischiare di essere catalogato come antisemita e come camerata. Ma, da lei, io lo accetto. In silenzio. Così come accetto senza protestare quando mio padre mi da del “Harki”. Perché ho rispetto per il suo dolore così come ho rispetto per quello di mio padre.

Ma le sottolineo soltanto, caro fratello, che i camerati, quelli più furbi, quelli più pericolosi, hanno da tempo cambiato nemico. Così come da noi i veri Harki stanno al potere da un bel po’.

Tanti “ex”-camerati sono andati a Gerusalemme. Si sono messi la kippa sulla testa e hanno anche baciato il muro dei lamenti.

Addirittura uno di loro ha dichiarato ultimamente che era meno grave ammazzare un ragazzo a botte che bruciare la bandiera israeliana. Veda un po’ lei…

Vede, per i camerati, quelli più furbi, quelli più pericolosi, la figura del nemico è uno strumento. E si sa che un bravo artigiano si riconosce ai suoi strumenti: sempre affilati, sempre rinnovati… e sempre adatti ai tempi.
La vecchia immagine del pericolo ebraico non va più di moda. La tiene ancora qualche vecchio nostalgico nella naftalina come si fa di una reliquia… Ma non è più lo strumento adatto ai tempi.

E’ l’era del nemico on-demand.

Siamo nell’era dell’Internet e del digitale, caro fratello. La TV on-demand, ma anche il Public-enemy on-demand. Una settimana ti dico che l’Italia è sotto minaccia Islamica e che quindi se abbiamo bisogno di mano d’opera a basso costo, portiamola dai paesi cristiani, come noi!.

L’indomani ti spiego che gli immigrati dell’Est hanno il gene della violenza e che quindi sono loro il nemico del giorno. Caccia aperta. Gli altri? quelli di prima?  li tieni lì. Non si sa mai che la settimana prossima ce ne abbia bisogno. Se tutto ciò non funziona, c’è il sempre verde pericolo dello zingaro ruba bambini!

Chi ha ancora bisogno della vecchia icona dell’Ebreo furbo e malvagio, con tutti i rischi di trovarsi puntato da tutte le direzioni come razzista, antisemita, etc, quando ci sono i razzismi autorizzati Anzi, alcuni altamente raccomandati (soprattutto a livello elettorale).

In riassunto: io ho rispetto per la sofferenza di mio padre e ne ho per la sua! Ma non voglio mettermi a misurare chi di voi è più vittima  dell’altro. Non voglio entrare nei conti, nelle percentuali. Non voglio e non posso nemmeno determinare chi ha pagato il prezzo più alto alla malvagità umana. Malvagità che c’è nel nazifascismo, che c’è nel colonialismo, ma che c’è sempre stata prima e continuerà ad esserci dopo.

Non voglio entrare in queste misurazioni. Non voglio buttare nell’oblio la vostra sofferenza. Non voglio fare finta che non c’è stato niente. No! Ma non voglio nemmeno far finta che non c’è stato nient’altro. O che non continua ad esserci dell’altro. Non voglio essere abbagliato da chi agita la verità di mio padre e la sua, per chiudermi la vista e farmi credere che non ce non sono altre. per nascondere quelle a loro più scomode. Voglio vedere queste e altre di verità. Mi prendo questa libertà e accetto il rischio di essere chiamato “Harki” e « antisemita”.

Suo,  con affetto e rispetto

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Risposta di Piero Terracina

Caro fratello Karim,
Ecco, questa che Lei ha scritto è la parola giusta: “Fratello”. Se gli uomini si chiamassero tra loro “fratello” e  si considerassero tali, quanto il mondo potrebbe esser migliore! Quante riflessioni sagge son contenute nella Sua bella lettera, che ho letto con molta attenzione, e nella quale racconta anche la tragedia del suo popolo.
Quante grandi tragedie ci sono state nel secolo scorso e quante ce ne sono ancora! Ogni tragedia ha la sua specificità. Ad esempio la Shoà: la sua specificità non è dovuta tanto al numero delle vittime e al fatto che le vittime fossero ebrei perchè se si fosse trattato di qualsiasi altro popolo sarebbe stata la stessa cosa, ma alla qualità dei carnefici che erano persone del tutto normali, spesso colte e intelligenti. Ma c’è una sola cosa che le accomuna tutte: la morte. Dicono gli storici che nella seconda guerra mondiale sono morti 50 milioni d’esseri umani e tutti dicono “è stata una grande tragedia” ma non è così perché i 50 milioni di morti corrispondono ad altrettante tragedie quindi a 50 milioni di tragedie. Questo non dobbiamo mai dimenticare perché soltanto questo ci può dare la misura della terribile catastrofe.
Credo che ciascuno di noi debba sentire il dovere di mantenere viva la memoria del proprio passato, sia che lo abbia vissuto o che l’abbia appreso, come Lei, da Suo padre, e trasmetterla ai giovani, e attraverso loro alle generazioni future. E questo è l’unico antidoto al “male”. 
Le sono grato per avermi indirizzato la Sua bella lettera, caro fratello, e la saluto con un forte abbraccio. 
Piero Terracina

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(*) Lettera di Piero Terracina alla Lista aned-torino

Amici, fratelli, compagni, camerati, (è bene che mi rivolga anche ai camerati tanto ce ne sono anche nella nostra maing list) Ha ragione Angela Persici quando dice che gli ebrei  sono stati “solo” un terzo dei deportati dall’Italia (8566) su una popolazione ebraica di “ben”  40.000 anime. mentre gli altri 32.000 erano politici su una popolazione di “soli” 45.000.000 milioni di italiani. Per alcuni i nazifascisti hanno commesso tante nefandezze ma una è imperdonabile: non averli ammazzati tutti, gli ebrei. Lo avessero fatto non se ne sarebbe più parlato. Sono ebreo e, lo confesso, vado a portare la mia testimonianza di ex deportato con tutta la mia famiglia di otto persone – di cui sono l’unico sopravvissuto – dovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltare.  Parlo anche degli altri deportati, dei politici e, soprattutto, di Rom e Sinti dei quali ho assistito (o meglio, sentito, perché ero a pochi metri rinchiuso nella mia baracca per il coprifuoco) la notte del 2 agosto 1944, allo saterminio di quelli rinchiusi nel lager “E” di Birkenau attiguo al campo “D” dove ero prigioniero. Come testimone posso solo parlare di quello che ho visto con i miei occhi. Il resto mi appartiene  come essere umano ma non come testimone. L’argomento degli ebrei che parlano solo della Shoà è ormai diventato una specie di ritornello che, in molti casi,  cerca di mascherare un antisemitismo non poi tanto sotto traccia. E’ un argomento che mi addolora e ci addolora. Se è necessario parlarne facciamolo con rispetto. Se dovesse continuare su questo metro, per me  potrebbe esserci solo una soluzione dolorosa: che ognuno pensi soltanto ai propri morti. Anni fa per qusto motivo fui costretto dalla mia coscienza a dare le dimissioni dal Consiglio Nazionale dell’Aned. Cosa altro potrei fare se non chiudermi ancora di più in me stesso?

Piero Terracina