È notte su Piazza della Repubblica, quella che stamattina era un mercato gremito di gente che andava e veniva, ora, di notte, è diventa una immensa superficie vuota attraversata solo dai venti freddi di gennaio e dalle ombre della notte.
Nel minuscolo garage dove dorme Rafiq, il poeta clandestino, c’è gente sta sera. Si è radunata lì per bere, fumare e chiacchierare intorno alla stufa a gas. Qualcuno prepara un profumato tè alla menta, mentre altri preferiscono sorseggiare una birra o un grappino. L’aria è densa e carica di fumi. L’odore acro di uno spinello, che non finisce girare di mano in mano e di bocca in bocca, invade la stanza. Si parla poco e si beve e si fuma tanto. Il quartiere è pensieroso. La notizia fresca dell’espulsione del vecchio imam koheila era nella mente di tutti.
Ad un certo punto Rafiq ritira la sigaretta dalla bocca, soffia a lungo il fumo verso l’alto poi dice, senza rivolgersi a nessuno in particolare: “Poi… se l’avessero espulso per la qualità della carne che vende nella sua macelleria… l’avrei anche capito. Era più dura quella delle sue prediche del venerdì!”
– “ma dicono che predicava la violenza…” -dice Stefan, il musicista romeno, non più clandestino ma povero lo stesso, tra un sorso e l’altro di birra.-
– “Diceva tante cazzate, questo è vero! Ma niente di peggio di quanto si dica ogni giorno in TV o sui giornali.” – risponde Rafiq. – ” Sai quelli come Bouchta e Koheila sono innanzitutto dei commercianti. Fanno affari con tutto, anche con la religione, con Dio, e se a vendersi meglio sono le cazzate, in questo momento, allora loro te ne servono quante ne vuoi. Ma come ogni commerciante non farebbero mai niente che metta in pericolo il proprio fondo di commercio.”
Giovannin’ che stava ascoltando improvvisamente esce dal suo lungo silenzio.
– “Cosa pensi di Arafat, Rafiq?”
– “Abu Amar? … niente di buono, un vecchio furbo. Tutto qua! Ma che c’entra…?”
– “Appunto! Ebbene quel vecchio furbetto di Abu Amar ha lasciato una bella frase: Dio aiutami ad affrontare i miei amici, quanto ai miei nemici forse ce la faccio da solo!”
– “Che vuol dire, scusa?”
– “Vuol dire, caro il mio poeta, Che quando c’erano gli altri al governo stavamo male, noi il popolo dei piccoli, dei lavoratori poveri, dei senza lavoro, degli indigenti, dei senza dimora, dei senza diritti… Quando se ne sono andati abbiamo sospirato. Uuuuf… Finalmente! Ma adesso che a governare sono quelli che ci hanno servito sempre i discorsi più dolci e che dicevano di essere dalla nostra parte… e bene non abbiamo finito di ricevere le batoste più tremende! Tutto qua! Non ci sono governi amici dei poveri, tutto qua. Fammi fare un tiro, va… e lascia stare!”