Versione (quasi) breve

Questa Lettera/riflessione l’ho scritta nel 2008 a Piero Terracina. Eravamo entrambi iscritti a una Mailinglist “RE-esistenza” (ex ANED -Torino), che tratta di tematiche legate alla memoria della resistenza e delle deportazioni della Seconda Guerra Mondiale e non solo.

Piero Terracina, sopravvissuto al campo di Auschwitz, aveva scritto una lettera arrabbiata alla lista e io avevo risposto con questa. Ne è nata una discussione ricca e interessante, Che ho riportato in parte qui.

In occasione della giornata della memoria 2021 la ripubblico in una versione un po’ “alleggerita” di dettagli e inserti vari che erano inerenti al contesto di allora. Ho lasciato l’essenziale della lettera.

Nel frattempo, Piero Terracina è mncato nel 2019, mio padre di cui parlo nella lettera è mancato nel 2014. E io mi stringo il loro ricordo al cuore, sperando che abbiano finalmente trovato pace e meritato riposo.

La lettera

Torino, 3 Ottobre 2008

Caro Fratello,

Le scrivo questa lettera. Penso verrà lunga. Uno perché ho problemi a sintetizzare, secondo perché quello di cui le voglio parlare è una cosa seria e le cose serie richiedono tempo e pazienza. Mi scuso quindi in anticipo e la ringrazio per la sua pazienza.

Mi chiamo Karim Metref. Sono Cittadino algerino. Vivo in Italia da dieci anni ormai e spero di poter restarci ancora per un bel po’, clima socio politico permettendo…

Le sottolineo questo dettaglio per vari motivi. Uno dei quali è il fatto che spostandomi dall’Algeria in Italia, ho avuto modo di guardare le cose con angolazioni diverse. E forse se fossi rimasto in Algeria non avrei mai nemmeno pensato le cose che sto per scrivere.

Leggendo la sua lettera, ritrovo le stesse parole di mio padre.

Nato nel 1935, quando nel 1954 scoppia la guerra di indipendenza mio padre aveva 19 anni. Si arruola molto presto nella rete di sostegno alla resistenza. Ma denunciato da un compagno torturato,vfu prelevato dai soldati all’uscita dal suo liceo e portato in caserma.

I primi giorni di detenzione furono i più terribili. Quel breve e infinito periodo in cui l’esercito non annuncia il tuo arresto alla giustizia e ti tiene nascosto in qualche cantina per tentare di tirarti fuori il massimo di informazioni possibili, quello è il più drammatico per i tanti prigionieri di quella guerra e presumo anche di altre.

Sono solo quei giorni. non si sa quanti. A distanza sembra siano stati anni. addirittura più della pena scontata poi da mio padre dopo il processo. In realtà non deve essere stato più di due tre settimane, forse un mese. Ma che mese!

Un mese in cui mio padre fu sottomesso a tutti i tipi di tortura possibili e immaginabili: elettricità, acqua, freddo, caldo, violenza sessuale… Ma la cosa che più lo fecce soffrire è stato di vedere suo padre e i suoi fratelli torturati e umiliati davanti a lui, per colpa sua. Oppure le continue incursioni notturne a casa di mio nonno, delle quali i soldati non mancavano mai di informarlo.

Tutte queste cose ha visto mio padre. Ma si ritiene fortunato, perché – come dice lei- lui è sopravvissuto. Circa un milione di algerini invece non ce l’hanno fatta. Un milione su 9 milioni sono una persona su nove.

Un mese, forse meno, è rimasto mio padre in quella cantina eppure parlandone, ancora oggi che sono passati più di cinquanta anni, sembra appena uscito dalla sala di torture. Il dolore è tutto lì… Intatto!

E’ ovvio che ancora oggi, a mio padre, è impossibile ridimensionare l’entità delle sue sofferenze. è ovvio che, per lui, il nostro popolo sia quello che ha più sofferto nella storia dell’umanità e che la Francia sia il male assoluto. Punto.

E’ la legge del “o sei con noi o contro di noi”.

Non ci sta niente in mezzo. A mio padre non si può citare un qualche sbaglio del Fronte di Liberazione Nazionale (e ce ne sono stati!) senza prendere del “Harki” (collaborazionista) è così e non può essere altrimenti.

Allora oggi tento di dire a lei, tutte quelle cose che non sono mai riuscito a dire a mio padre.

Mi ci è voluto del tempo e della ricerca per chiarire un po’ di cose. La psicologia moderna mi ha aiutato tanto. Uno psicanalista, in particolare, Bruno Bettelheim, che ha conosciuto anche lui le sofferenze e il campo, mi ha aiutato tanto. Gandhi poi è stato illuminante. Nelle mie letture qualche risposta ho trovato .

Una delle risposte che ho trovato si chiama “l’egocentrismo della vittima”.

Chi è vittima di grandi ingiustizie è rinchiuso nel suo dolore. E’ la vittima universale! E nessuno può essere considerato vittima in ugual modo.

Qualche anno fa, accompagnavo, come interprete volontario, un amico tibetano che faceva un giro di conferenze nel nord Italia. In un dibattito, in Trentino, qualcuno fece un paragone tra i due popoli, tibetano e palestinese, entrambi da 60 anni costretti ad errare sparsi per il mondo… E il nostro uomo, finora sempre molto calmo, molto cortese, si scatena contro l’intervento del mal capitato. Dice di essere stufo e molto offeso che in Europa si faccia sempre questo paragone con la Palestina. Che non c’è nessun paragone possibile tra i due popoli, né tra le due questioni, e poi scatta il giudizio universale: “Comunque, sofferenze come quelle del popolo tibetano nessuno le ha patite in questo mondo!” Tutto lì.

E’ vero che tutto è questione di punti di vista.

La sofferenza degli altri è tutta teorica, la mia è concreta, tangibile. In algerino si dice: “la brace la sente soltanto chi la calpesta”. Gli altri possono anche filosofare e dire che, tutto sommato, camminare su un carbone ardente non è così doloroso… Chi ci cammina sopra invece non lo può fare. Il dolore invade tutto il suo essere. .

Ma è altrettanto vero che del dolore bisogna pur liberarsi, prima o poi. Mio padre ha sofferto. Se lui non riuscirà mai a liberarsi del suo dolore, io non lo voglio in eredità. Non voglio né il dolore né tanto meno l’odio che ne deriva.

Poi la memoria del dolore diventa sempre un fondo di commercio. Ed è troppo spesso mantenuto vivo soprattutto da gente che quel dolore non l’hanno vissuto.

Nel mio paese questo si esprime nel regime instaurato dopo l’indipendenza da gente che non ha partecipato alla guerra ma che vive tutt’ora su quel capitale: la lotta e le sofferenze del nostro popolo.

Emblematica è la storia di Bachir Hadj Ali, grande poeta Algerino, che fu torturato dai francesi perché partigiano e dagli algerini, pochi anni dopo, perché “agente del nemico” (cioè la Francia). O con noi o con loro!

Io non nego che mio padre abbia sofferto. Non sono contro mio padre (anche se lui spesso stenta a crederlo). Ma non mi lascio dominare in nome della sua sofferenza da coloro che tale sofferenza non l’hanno vissuta e forse anche ci hanno contribuito, almeno alcuni di loro.

E qui finalmente arrivo al dunque.

La sofferenza degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale è reale. Non è una invenzione. E’ stato un episodio terribile. Uno dei più neri della storia dell’umanità.

Ma questa sofferenza, così terribile di per sé, è stata anche enfatizzata dalle potenze occidentali che sono riuscite a cancellare, sacrificando il grande tiranno germanico, tutto il male che avevano fatto loro attraverso il mondo.

Chi ne poteva parlare, dopo la sconfitta del “grande male”, di quelle “piccole briciole” commesse di qua di là, in giro per il pianeta? La tratta dei neri? il colonialismo? la cancellazione di popoli interi nel “nuovo mondo”?

Chi poteva rimproverare a Degaulle, «liberatore» della Francia dal nazismo. di aver fatto massacrare in Algeria circa 30.000 persone durante i festeggiamenti del 8 maggio 1945? Chi può parlare dei soldati senegalesi che dopo aver contribuito a liberare l’Europa, sono stati massacrati nelle caserme in Senegal … per aver chiesto una paga uguale a quella dei bianchi?

I milioni massacrati dal Giappone in Asia, in nome della superiorità razziale anche lì? chi ne poteva parlare quando ormai il Giappone era diventato alleato nella nuova guerra contro il pericolo rosso. Poi degli Italiani in Africa? E’ vero che sono rimasti poco, ma in quel poco si sono dati da fare. Anche parecchio …

Una domanda mi viene in mente.

La Germania ha pagato. Ma chi altro ha pagato? quanto ha dato la Gran Bretagna alle sue ex colonie per i massacri compiuti lì? Quanto ha risarcito la Francia all’Africa?

Quanto dovrà pagare la Spagna e il Portogallo ai nativi americani? E gli Stati Uniti alle nazioni africane e alle sue popolazioni nere discendenti degli schiavi, cosa devono dare?

O quelle sono tutte bricioline?

Dicendo tutto ciò so di rischiare di essere catalogato come antisemita e come camerata. Ma, da lei, io lo accetto. In silenzio. Così come accetto senza protestare quando mio padre mi da del “Harki”. Perché ho rispetto per il suo dolore così come ho rispetto per quello di mio padre.

Ma le sottolineo soltanto, caro fratello, che i camerati, quelli più furbi, quelli più pericolosi, hanno da tempo cambiato nemico. Così come da noi i veri Harki stanno al potere da un bel po’.

Tanti “ex”-camerati sono andati a Gerusalemme. Si sono messi la kippa sulla testa e hanno anche baciato il muro dei lamenti.

Vede, per i camerati, quelli più furbi, quelli più pericolosi, la figura del nemico è uno strumento. E si sa che un bravo artigiano si riconosce ai suoi strumenti: sempre affilati, sempre rinnovati… e sempre adatti ai tempi.

La vecchia immagine del pericolo ebraico non va più di moda. La tiene ancora qualche vecchio nostalgico nella naftalina come si fa di una reliquia… Ma non è più lo strumento adatto ai tempi.

E’ l’era del nemico on-demand.

Siamo nell’era dell’Internet e del digitale, caro fratello. La TV on-demand, ma anche il Public-enemy on-demand. Una settimana ti dico che l’Italia è sotto minaccia Islamica e che quindi se abbiamo bisogno di mano d’opera a basso costo, portiamola dai paesi cristiani, come noi!.

L’indomani ti spiego che gli immigrati dell’Est hanno il gene della violenza e che quindi sono loro il nemico del giorno. Caccia aperta. Gli altri? quelli di prima? li tieni lì. Non si sa mai che la settimana prossima ce ne abbia bisogno. Se tutto ciò non funziona, c’è il sempre verde pericolo dello zingaro ruba bambini!

Chi ha ancora bisogno della vecchia icona dell’Ebreo furbo e malvagio, con tutti i rischi di trovarsi puntato da tutte le direzioni come razzista, antisemita, etc, quando ci sono i razzismi autorizzati Anzi, alcuni altamente raccomandati (soprattutto a livello elettorale).

In riassunto:

Io ho rispetto per la sofferenza di mio padre e ne ho per la sua! Ma non voglio mettermi a misurare chi di voi è più vittima dell’altro. Non voglio entrare nei conti, nelle percentuali. Non voglio e non posso nemmeno determinare chi ha pagato il prezzo più alto alla malvagità umana. Malvagità che c’è nel nazifascismo, che c’è nel colonialismo, ma che c’è sempre stata prima e continuerà ad esserci dopo.

Non voglio entrare in queste misurazioni. Non voglio buttare nell’oblio la vostra sofferenza. Non voglio fare finta che non c’è stato niente. No!

Ma non voglio nemmeno far finta che non c’è stato nient’altro. O che non continua ad esserci dell’altro. Non voglio essere abbagliato da chi agita la verità di mio padre e la sua, per chiudermi la vista e farmi credere che non ce ne sono altre. per nascondere quelle a loro più scomode.

Voglio vedere queste e altre di verità. Mi prendo questa libertà e accetto il rischio di essere chiamato “Harki” e « antisemita”.

Suo, con affetto e rispetto.