Il 13 gennaio scorso mentre erano ancora in corso gli eventi che si chiameranno poi la strage di Charlie Hebdo, scrissi un pezzo sul mio blog personale. Il post era intitolato « Mi dispiace, ma io non sono Charlie» che ebbe molto successo. Ma da quel giorno ho smesso di commentare questo tipo dieventi.

Il mio è un blog tranquillo, senza pretese, aggiornato ogni tanto, giusto così, per sfogare la mia voglia di dire la mia su alcuni temi che mi stanno a cuore. Ho circa 200 lettori affezionati e quando riesco a raddoppiare questo numero di lettori sono più che contento. Ma quel pezzo (1) portò il mio blog ai primi posti dei blog italiani… Almeno per un po’ di giorni.
60 mila visite in un giorno. circa 200 mila nel giro di 2 o 3 giorni. Nello stesso slancio, pubblicai un secondo pezzo sul sito della rivista Internazionale « Io non mi dissocio »(2). Anche questo ebbe tante tante visite e fu molto condiviso e molto commentato.
Devo dire che mi aspettavo molti insulti e anche qualche minaccia… invece mi arrivarono valanghe di consensi, di commenti favorevoli, qualche critica costruttiva… E soltanto qualche insulto e 2 o 3 accuse di complottismo. Ovviamente non mancò il solito «gombloddoo!»

"Salman bin Abdull aziz December 9, 2013" licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia
“Salman bin Abdull aziz December 9, 2013” licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia

Una decina di giorni dopo i fatti di Parigi, morì il re dell’Arabia Saudita. Vedendo gli stessi leader politici che avevano sfilato in prima fila nella famosa marcia « Je suis Charlie » a Parigi, pochi giorni prima, mandare « sentiti » e commoventi messaggi di cordoglio, scrissi un nuovo post, « Quando muore un criminale » (3), in cui mi chiedevo se la buona educazione ci impone, anche quando a morire è il principale sponsor del terrore attraverso il pianeta, di andare e piangere sulla sua bara e dire che era un bravo « uomo di pace ». Mi aspettavo di nuovo una grande affluenza sul mio blog, invece mi ritrovai di nuovo testa a testa con i miei soliti 200 affezionati. E anche su un quotidiano nazionale che aveva ripreso il pezzo, a parte la risposta offesa dell’ambasciata del Regno dell’Arabia Saudita a Roma, non ci fu quasi nessun dibattito.
Mi resi conto che passata l’onda emotiva, non interessava quasi più a nessuno approfondire, cercare legami, connessioni e punti di vista diversi… niente.
Pensandoci mi resi conto che il circo mediatico che si creava dopo ogni evento considerato « rilevante », e perciò mediatizzabile,  era una specie di gioco. Un gioco alquanto macabro. Ma pur sempre un gioco. Un gioco che si svolge tra politica, finanza, guerra e mezzi di informazione. Uno nutrendosi dell’altro. Un gioco dove il grande pubblico è accettato solo sotto forma di tifoserie opposte che non si rivolgono altro che accuse e insulti.

Mi accorsi anche che pur formulando un parere « contro-corrente », fuori dai cori di tifoseria, pur cercando di ragionare un minimo, di non affidarmi alla sola emozione, alla pancia… Con tutti i distinguo del mondo, intervenendo in quel momento, a caldo, io ero parte del gioco. La mia voce era solo un ruscello che andava ad alimentare il grande fiume mediatico-emozionale: Je suis Charlie, Je ne suis pas Charlie, Je suis Mohammed, Je suis Koulibali… Un fiume vorticoso, in cui tutto si va a mescolare e a formare una stessa onda melmosa. Un tutt’uno. E quel tutt’uno porta sempre e solo in una sola direzione.

Nei giorni successivi rifiutai di andare in tv, nonostante le chiamate insistenti di vari talk show famosi. Erano anni che, dopo poche esperienze infelici, avevo deciso di non andare mai più in un talk show televisivo, considerandoli luoghi non idonei a un dialogo serio e costruttivo. Ma in quel momento la mia convinzione si rafforzò ancora di più. Non era solo il fatto di ritrovarmi seduto e costretto a urlare di fronte a un Salvini o una Santanché qualunque che mi sembrava inutile. Era tutto l’insieme di interventi fatti in quel momento, sull’onda dell’emozione: notizie, commenti, dibattiti, opinioni, approfondimenti, in televisione, sui giornali, sulle radio, in internet… compreso i miei articoli sul mio insignificante blog.  Era quel vortice enorme che mi sembrava andasse comunque e sempre nel senso della logica della violenza. Quella delle lobby dell’energia, quella dei vari piccoli e grandi imperialismi, quella del terrore jihadista, quella dei movimenti di estrema destra…
E poi da quel momento in poi decisi di non commentare più nessuno fatto clamoroso di terrorismo, sia in Europa sia altrove nel mondo. Niente. Silenzio assoluto. Perché mi sono accorto che la grande vittoria dei terrorismi non è il numero di morti occasionati, ma è il clamore mediatico generato. é la paura e l‘odio.

Sono anni ormai che la partita tra il jihadismo e i media main-stream internazionali è in corso. Dopo l’11 settembre 2001, questi ultimi hanno usato ogni fatto della rete al Qaida, e ogni fatto vagamente riconducibile all’estremismo religioso musulmano per costruire l’immagine del Nemico di cui avevano bisogno i poteri forti della finanza, dell’energia e dell’industria bellica per mettere in atto i loro piani. Invasione dell’Afganistan, dell’Iraq e riorganizzazione del « Grande Medio Oriente » per assicurare il controllo dei grandi giacimenti e delle vie di trasporto dei combustibili.

Per anni qualsiasi malato di mente che gridava « Allah akbar » finiva sulle prime pagine. Mentre il leader Nord coreano che dispone di milioni di soldati e anche dalla bomba atomica, doveva fare grandi manovre militari sui suoi confini meridionali per beneficiare di qualche trafiletto sui mezzi d’informazione, qualsiasi comunicatino di Bin Laden dal buco dove (forse) si nascondeva  in Afganistan faceva i titoloni e animava ore e ore di dibattiti. Loro usavano tanto Bin Laden e Bin Laden usava loro abbastanza. Oggi invece se i mezzi d’informazione continuano ad usare la minaccia dell’ISIS come spaventa-passeri, l’Isis lui usa i media internazionali alla grande.

oblDa quando il mondo è mondo ogni potere forte ha bisogno di un nemico per mantenersi. Ma da sempre quelli designati come « Mostri » dal sistema dominante hanno cercato di smentire questa immagine. Persino quelli veramente cattivi, come Hitler o Polpot, mandavano immagini rassicuranti e positive di sé stessi. Si pensi ad esempio ai filmati girati dalle SS al margine dei Lager nazisti per far vedere la bella vita delle famiglie ebree in ” Villeggiatura”.

L’Isis, lui,  non cerca di smentire l’imagine di mostro creata dai media. Tutto sommato il sedicente “Stato Islamico” è una tragica barzelletta. Poche migliaia di uomini armati principalmente di armi leggere con pochi mezzi di trasporto; un numero di vecchi blindati e pezzi di artiglieria che si possono contare sulle dita di poche mani; e poi zero, proprio zero, mezzi aerei, missili o armi ad ampio raggio di azione. Se i suoi nemici ufficiali non comprassero il suo petrolio, non gli vendessero armi e non gli fornissero il servizio internet via satellite… sarebbe bello che morto da anni. O forse non sarebbe proprio mai nato.
Questo è il « nemico terribile » che secondo i media main-stream farebbe tremare le potenze alleate che hanno sconfitto l’Asse italo-germano-nipponico e poi l’Unione sovietica e tutto lo schieramento di stati socialisti armati fino ai denti.

I seguaci di Al Baghdadi sanno bene che la loro unica forza è la loro immagine spaventosa sui mezzi d’informazione di tutto il mondo. E allora non solo non fanno niente per contrastare questa immagine ma la assecondano. Non smentiscono la loro barbarie. La mettono in scena in un goffo stile para-holliwoodiano, la filmano in full-HD e la mettono a disposizione gratuitamente sul web.

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L’ISIS é il nemico perfetto. Il nemico prêt-à-porter. Il nemico « Just-eat ». Non lo devi cucinare. Ti arriva già cucinato, condito e con le posate usa e getta. Devi solo ingoiare. Preferibilmente senza masticare.

Qualche anno fa sul Delta del Niger, dalla rabbia del popolo Ogoni, che ha visto il suo ambiente naturale, uno degli ecosistemi più belli e più ricchi del pianeta, completamente distrutto dalle grandi compagnie del petrolio, nacquero vari movimenti di resistenza armata. Uno di questi, nato da poco si ispirò ai rapimenti di occidentali in Nord Africa e in Medio Oriente di cui parlava tutta la stampa internazionale allora, e per farsi conoscere rapì alcuni tecnici europei (tra cui alcuni italiani). Ma scoprirono presto che loro non erano all’ordine del giorno. E nel silenzio generale dei media internazionali, dovettero dopo alcune settimane liberare i tecnici, probabilmente contro pochi spiccioli. O forse con la sola vaga promessa di non essere annientati.

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Guerrieri nel delta del Niger.

Mentre nello stesso periodo, una quindicina di turisti tedeschi, olandesi e svizzeri rapiti dall’allora famosissima AQMI nel deserto algerino furono liberati in cambio di somme impressionanti (4). Probabilmente intorno ai 4 o 5 milioni di dollari A TESTA!!!!  Di che armare e organizzare un vero e proprio esercito.
I poveri guerrieri del Fronte di liberazione del Delta del Niger, che ancora oggi continuano a lottare per la loro terra ignorati da tutti, non hanno mai capito poverini che per avere l’attenzione dei media dovevano prima annunciare la loro adesione a Al Qaeda (allora) o a Daesh (Oggi). Altrimenti nada.
Infatti dall’altra parte della terra, in Birmania, gli estremisti buddisti (con i preti in testa) da anni stanno facendo a fette la minoranza musulmana… e sembra non li veda nessuno. Non hanno la barba e non dicono « Allah akbar ».

Ecco perché l’ISIS (o chi sta dietro l’Isis) ha capito che la sua vera forza è nell’impatto mediatico, nell’effetto sull’immaginario. Loro oggi non hanno nemmeno bisogno di organizzare quella rete capillare che aveva una volta Al Qaeda intorno al mondo. Hanno solo bisogno della pressione mediatica per aumentare la paura, far salire l’intolleranza e le idee islamofobe e xenofobe in Occidente. Il clima creato dai media e dalle formazioni di estrema destra poi contribuisce a far stare male e a isolare i giovani della diaspora che si ritirano su sé stessi e cominciano a «radicalizzarsi» come piace tanto dire ai tanti esperti dell’ultima ora. «Ecco, anche questo: si è radicalizzato negli ultimi mesi.» Poi da lì a che uno di questi giovani «radicalizzati» diventi «un lupo solitario » ci vuole veramente poco. E’ difficile avere una vita dignitosa se hai un certo colore della pelle e un certo tipo di nomi e cognomi, ma una morte gloriosa in “mondovisione” è orami alla portata di qualsiasi imbecille.

Ecco perché ho deciso da quell’inizio gennaio 2016 di non partecipare ai cori di commenti e controcommenti che seguono inevitabilmente ogni piccolo o grande fatto anche vagamente collegabile al jihadismo. Ed ecco perché dico che in fin dei conti, l’esercito più fidato e più efficiente di DAESH non sono quei poveracci “radicalizzati” che si fan saltare in aria qui e là. No. I soldati più agguerriti di Al Baghdadi and Co. siete voi: i giornalisti dei media main-stream.

Ps. A proposito, cari esperti di Medio Oriente e di jihadismo etc…:  si dice «il Jihad» e non «la jihad», grazie.

(1) https://karimmetref.wordpress.com/2015/01/08/non-sono-charlie-hebdo/

(2) http://www.internazionale.it/opinione/karim-metref/2015/01/09/io-non-mi-dissocio

(3) https://karimmetref.wordpress.com/2015/01/28/quando-muore-un-criminale-bisogna-per-forza-andare-al-funerale/

(4) http://www.algeria-watch.org/fr/aw/otages_sahara.htm