Povertà, negligenza e disprezzo sono i generatori della rivolta

Chi si ricorda ancora delle banlieue?

Ancora pochi giorni fa, non si parlava d’altro, e già i media di massa volano verso altri temi. E le periferie francesi tornano nel dimenticatoio dove hanno sempre vissuto insieme a tutte le altre periferie del mondo.

Io torno a parlarne, non tanto per entrare nel merito di cosa sia successo ma per riflettere sull’eterna domanda del perché succede.

Ogni bolte che prendono fuoco le strade della Francia per mano dei giovani “dei quartieri”, come si dice in Francia, in Italia, le stesse domande tonano a girare.

  • Dove ha sbagliato la Francia nella gestione dei flussi di immigrazione?
  • Ma il modello francese di integrazione è quindi fallito?
  • L’Italia rischia in un futuro delle rivolte simili?
  • etc…

In quasi due decenni non ci siamo mossi di un palmo rispetto alle polemiche sorte dopo le rivolte delle banlieue del 2005. È come una specie di ossessione: un disco rotto. Ma senza entrare troppo nel merito delle polemiche insensate che generano, andiamo a vedere da vicino l’assurdità di queste stesse tre domande.

Cattiva gestione dei flussi migratori?

Il ragazzo, Nahel Merzouk, ucciso dalla polizia francese nelle vicinanze di Nanterre, una delle più antiche periferie-ghetto della regione di Parigi, era nato in Francia, da madre di origine algerina e padre di origine marocchina. Entrambi nati in Francia. Non parlava né l’arabo né il berbero, non aveva mai visto né il Marocco né l’Algeria e non ha mai avuto altro passaporto che quello francese.

Nella stessa situazione si trova la maggior parte dei ragazzini usciti a mettere le città francesi a ferro e fuoco.

Di quali flussi stiamo a parlare?

In questo caso. è come legare le rivolte dei ghetti neri o ispanici o i crimini delle varie mafie negli Stati Uniti alla questione di apertura o chiusura delle frontiere con il Messico.

Se noi consideriamo Martin Scorzese come americano e Yve Montand come
francese, quante generazioni devono passare prima che un Nahel o un Mamadou siano considerati semplicemente francesi?

Fallimento del modello francese di integrazione?

Nel 2006, in un’intervista chiesi all’antropologo francese Marc Augé (1) cosa pensasse di questa domanda che ritorna spesso in Italia.

Lui mi rispose con due domande: “Qual è questo modello di integrazione alla Francese? E se mai esiste questo modello, quando mai è stato applicato alle
Banlieue?

L’unico modello di integrazione sociale esistente in Francia è quello repubblicano ereditato dalla Rivoluzione, basato principalmente sulla scuola pubblica come motore
dell’ascensore sociale
.

Questo funzionò abbastanza bene per due secoli portando a far parte dell’alite culturale, economica e politica del paese, persone provenienti da famiglie di servi,
contadini e operai poveri.

Il modello funzionò abbastanza bene anche con i migranti provenienti dall’Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Russia… Solo che, dopo la seconda guerra mondiale,
facendo arrivare milioni di braccia dalle colonie per la ricostruzione e per l’industria, la Francia metropolitana importò anche il modello coloniale, che è quello che delimita territori dove i principi fondanti della Repubblica Francese, il famoso “Liberté, Egalité, Fraternité” smette di funzionare e si trasforma in “schiavitù, discriminazione e razzismo”.

C’è rischio di avere delle banlieue in Italia?

Le banlieue sono semplicemente quartieri di periferia. La questione che pongono non è quella delle differenze culturali, non è quella dei flussi migratori, ma quella delle politiche di contrasto alla povertà in genere e alla povertà educativa in particolar modo.

Delle banlieue in Italia ce ne sono e come!

Non sono così numerose né così grandi come quelle francesi, ma ci sono. Si chiamano
Giambellino, Barriera di Milano, Tor Bella Monaca, Scampia o Quartiere Zen …

Quando si lasciano popolazioni povere a macerare in grande numero nella povertà e nell’assenza di una educazione adeguata, si formano i ghetti. E i ghetti di qualsiasi latitudine e colore hanno le stesse dinamiche. E quando la presenza dello Stato si traduce in sola repressione, i ghetti esplodono e riversano sui centri città, il risultato di anni di esclusione e di disprezzo: l’odio.

A bon entendeur, salut!

  1. https://karimmetref.blog/2023/07/03/settembre-2006-incontro-con-marc-auge/

La cantante Rap Casey diceva nel 2017: Si chiede agli oppressi di esprimere il loro senso di oppressione ma gentilmente per favore. In modo educato. Ma non funziona così.

Casey : “Le racisme c’est comme la mode, il y a des tendances” | Hier encore (2017/2020)