di Massimiliano Boschi sul Corriere del Trentino (24/11/2015)

«Il 25 novembre 1967 nascevo in esilio sulla terra dei miei avi». Sono passati sette anni da quando Karim Metref dava alle stampe il suo Tagliato per l’esilio libro autobiografico e di racconti da cui abbiamo rubato l’incipit. Un libro su esilio e spaesamento che sarà letto e discusso, insieme a molto altro, in un incontro organizzato da chi di esilio se ne intende, Adel Jabbar, in una città che con lo spaesamento continua a farci i conti, Bolzano. Domani alle 17.30, all’Espace La Stanza, si terrà, infatti, il terzo incontro della rassegna Sguardi verso nuove pagine che casualmente coincide con il quarantottesimo compleanno dello scrittore ed educatore di origini algerine. A leggere brani scritti da lui, e dalla scrittrice rumena Irina Turcanu, sarà l’attrice Mara Da Roit.
Metref, nato in Cabilia, si è trasferito in Italia nel 1998. In quale città lo si capisce fin dalla prime parole, perché l’accento torinese è piuttosto deciso. La chiacchierata parte proprio da questo, dai luoghi: «Io mi sento esule sia in Algeria che a Torino — premette —. È una condizione che non è strettamente legata al vivere lontano dal luogo in cui si è na ti, ci si può sentire fuori posto ovunque. Non solo perché ci si è dovuti spostare fisicamente, ma anche perché la si pensa diversamente da chi ti circonda, perché si viene additati come diversi, perché si sceglie di non conformarsi, perché si è poveri. Ma queste considerazioni sul sentirsi straniero ovunque mi hanno fatto concludere che si tratta dell’unica posizione giusta in questo mondo. Perché appena rivendichi un luogo come casa tua, ti aggreghi ad una maggioranza che prevarica una minoranza. Per me, sentirmi esule, significa stare dalla parte degli oppressi e non degli oppressori. Per cui, non solo mi sento esule, ma scelgo di esserlo, provo ad esserlo, non voglio fuggire da questa condizione, la ricerco».
Metref sembra effettivamente rifiutare ogni tipo di steccato, quelli che lo escludono come quelli che lo includono. Lo ha dimostrato a seguito dell’attentato a Charlie Hebdo e lo dimostra oggi. Dieci mesi fa, su Internazionale scrisse: «Da ogni parte ci viene chiesto di dissociarci, di scrivere che noi stiamo con Charlie, di condannare, di provare che siamo bravi immigrati, ben integrati, degni di vivere su questa terra di pace e di libertà. Ebbene, anche se ovviamente condanno questo atto come condanno ogni violenza, non mi dissocio da niente. Non sono integrato e non chiedo scusa a nessuno.
Io non ho ucciso nessuno e non c’entro niente con questa gente. Altrettanto non possono dire quelli che domani dichiareranno guerra a qualcuno in nome di questo crimine».
Oggi, dopo gli attentati del 13 novembre, la sua posizione non è cambiata: «Non voglio ripetere le stesse cose, ma non sono io a dover chiarire la mia posizione, io sono contro gli integralisti da sempre, mi scontro con loro — politicamente — da quando ho 17 anni. Sono i governi che forniscono soldi e armi a Isis, direttamente, o indirettamente tramite alcuni Paesi del Golfo Persico a dovere chiarire la loro posizione. Io me ne sono andato dall’Algeria perché non sopportavo il clima creato dagli integralisti, ho lottato contro di loro, perché dovrei essere io a dovermi dissociare? Ma, chiarito questo, non esiste un modello unico di persona e nemmeno di musulmano. Ci sono credenti, praticanti e tradizionalisti islamici che sono assolutamente contro ogni violenza, ci sono migliaia di sfumature e non si possono affibbiare responsabilità collettive a un miliardo e mezzo di persone che hanno provenienze molto diverse. Se la responsabilità è collettiva, allora un iracheno potrebbe sentirsi legittimato a colpire qualunque cittadino occidentale per quello che è stato fatto al suo Paese.
Ricordo che Blair ha appena chiesto scusa per quella guerra. Come se avesse fatto rotto un bicchiere per sbaglio…».
Per altro, gli steccati, i confini, sembrano ormai servire a pochissimo. Chi ha ucciso, e si è ucciso, in nome di una guerra «santa» era nato in Europa, ma questo non gli ha impedito di colpire una delle sue capitali: «Parigi — prosegue Metref— è una città strana in cui da molti anni si mescolano persone di provenienze e culture diverse. A Londra non è così, si cercano di mantenere gruppi separati omogenei. La capitale francese, invece, ha la pretesa di accogliere tutti nel modello repubblicano e laico che dovrebbe portare alla famosa uguaglianza. Ma questo si è verificato solo in alcune parti della città. In centro le cose funzionano come si deve, ma nelle periferie no. È una sorta di replica del modello coloniale, nella Francia metropolitana si rispettavano libertà e diritti umani, nelle colonie molto meno».
Osservando la realtà fuori dai binari convenzionali si finisce anche per comprendere come i fronti contrapposti siano molto più simili di quello che possa apparire a prima vista.
Invitato a confrontare fanatici di casa nostra e fondamentalisti islamici, Metref non si tira indietro. «Sono entrambi sorretti da ideologie che vivono di miseria e ignoranza. I fenomeni di estrema destra, religiosa o laica crescono in ambienti malsani, sono come i parassiti. Il problema è che quando il livello culturale è basso si finisce per credere alle semplificazioni e si trova il nemico. Ci sono cascati anche a sinistra, quelli che identificavano il nemico nel ricco, nel borghese, nel nemico del popolo».
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Corriere del Trentino 24/11/2015© RIPRODUZIONE RISERVATA