(Articolo pubblicato sul numero 8 luglio-agosto 2010 della rivista PaceReporter sotto il titolo ” La questione Cabila”)

Non si sa chi ma qualcuno, per interessi vari, sta cercando di fare della Cabilia una specie di Kossovo algerino. Si parla dei servizi francesi che hanno sempre acceso la fiamma della discordia nelle “ex-colonie”. Si parla del Marocco che vuole utilizzare la questione Cabila come strumento di ricatto per avere più forza nei negoziati sul Sahara Occidentale. Qualcuno addirittura (vecchia accusa nei confronti dei Cabili) parla di commistione con il Mossad.
Non si sa chi e probabilmente sono tanti i manipolatori e gli elementi che hanno portato alla nascita e alla diffusione del Movimento per l’Autonomia della Cabilia (MAK). Una diffusione che per fortuna rimane molto minoritaria in Cabilia stessa. Ma si sa che chi gioca questi giochi sporchi (in primis il governo algerino che fa di tutto per spingere i giovani verso la disperazione e l’estremismo) chi gioca a questi giochi ha sempre più di un trucco nel suo sacco.
Il primo giugno scorso, al “Palais des Congrès” di Parigi, il militante storico della causa berbera in Algeria, Ferhat Mehenni, proclamava, in presenza di qualche centinaia di militanti e simpatizzanti del Movimento per l’Autonomia della Cabilia (MAK), la creazione del Governo Provvisorio della Cabilia (GPK).
La Cabilia è una regione del Nord dell’Algeria, a pochi chilometri a est della Capitale Algeri. Con le sue 3 province centrali (Tizi Ouzou, Bouira e Bejaia) e parti delle tre province limitrofe (Setif, Bordj Bouareridj e Boumerdes), la zona ospita la popolazione berbera più numerosa di tutto il Nord Africa. Si stima a circa 6-7 milioni il numero di algerini che si identificano come Cabili. Buona parte di essi (almeno 4 milioni) residente in Cabilia, l’altra grossa fetta (tra 1 e 2 milioni) residente nella città di Algeri e i suoi dintorni. Il resto sparso in giro per le varie regioni dell’Algeria. La Cabilia è una terra di montagne molto bella ma povera in risorse. Da sempre i suoi figli sono stati costretti all’emigrazione in cerca di una vita migliore. Infatti la diaspora Cabila in Europa è molto consistente. Solo intorno alla città di Parigi, si stimano a circa un milione i Cabili di 1° e II° generazione residenti.
Le popolazioni berberofone nordafricane, per le loro specificità sociali basate spesso sul comunitarismo e sull’autonomia economica e politica hanno sempre dato filo da torcere agli imperi mediterranei e ai poteri Centrali. Quella Cabila, un po’ per la sua posizione centrale, un po’ per la configurazione geologica del suo territorio, un po’ perché è la più numerosa di tutte, è sempre stata una delle più attive. Riuscita a vivere in autonomia per migliaia di anni, l’esercito francese è stato il primo a mettere piede nelle zone più remote delle montagne del Djurdjura, della Soumam e dei Babor.
Ultima a cadere, la Cabilia fu anche la prima e la più decisa a sollevarsi negli anni 50 contro il colonialismo francese. Ma appena raggiunta l’indipendenza dovette subito vedersela con la mafia dei militari panarabisti entrati dalle frontiere alla fine del conflitto per prendere il potere.
È a questa lotta millenaria che fa riferimento Ferhat Mehenni nel suo discorso d’insediamento. Nel puro stile dei movimenti nazionalisti di tutto il pianeta, ha fatto un riassunto della lunga storia e dell’eterna lotta del popolo per la libertà. Autoproclamando poi il suo movimento e la sua persona come la risultante naturale e logica di tale percorso storico.
Non mancava niente nella retorica nazionalista di quello che 20 anni fa era il cantante dei rivoluzionari di estrema sinistra. In apertura ha invitato simbolicamente all’incontro un lungo elenco di “eroi della causa cabila”: militanti per l’indipendenza dell’Algeria, militanti berberisti, guerrieri, intellettuali, scrittori, cantanti, giornalisti e semplici cittadini assassinati dal governo o dagli integralisti armati. Poi c’era l’inevitabile elogio del popolo cabilo, descritto come generoso, coraggioso e laborioso. Mentre i suoi vicini sono stati, diplomaticamente, descritti come deboli e privi di riferimenti e di anticorpi contro la dittatura e il sottosviluppo. Ovviamente l’autonomia della Cabilia, spiegò in seguito, è voluta non per sbarazzarsi degli altri ma per dare un esempio di buona gestione e trascinare così lo sviluppo dell’Algeria intera (No. Non sto confondendo con un discorso di Calderoli sull’autonomia della Padania. Ha detto proprio così). Prova se ce ne fosse bisogno che il nazionalismo cabilo, come gli altri, non brilla proprio per originalità e creatività.
Poi, come la ciliegia sulla torta, ci fu anche (come in ogni nazionalismo dei poveri) l’inevitabile occhiolino lanciato verso i signori del mondo: la promessa di essere un ostacolo invalicabile contro il terrorismo islamico e contro Al-Qaeda (il prezioso “apriti sesamo” senza il quale, lo sanno tutti i poveri, le porte della benevolenza delle potenze occidentali rimarrebbero inesorabilmente chiuse).
Il MAK è nato nel 2001, durante la protesta della “Primavera nera”. Mentre i gendarmi sparavano sui giovani insorti contro l’assenza di diritti e di futuro, era chiaro che i partiti tradizionali della Cabilia non erano più in grado di canalizzare la protesta. Approfittando di questo vuoto, Ferhat lancia il suo MAK. L’intento era quello di recuperare la protesta. Ma il “Movimento Cittadino” natto dalle sommosse e la popolazione cabila ignorarono superbamente tutti i suoi tentativi.
Dal 2003, i militanti del MAK si sono dati da fare per occupare, almeno mediaticamente, il vuoto politico lasciato dalla sconfitta del Movimento Cittadino. Ma in Cabilia sembra non ci sia quasi nessuna risposta popolare. Poche centinaia di giovani si avvicinano al movimento.
È soprattutto nella diaspora e in modo particolare a Parigi che il MAK trova più sostenitori. I bar parigini, tradizionali covi delle frange più razziste del movimento berbero (anche perché è sempre più facile essere radicale da lontano), hanno subito accolto moto bene il concetto di autonomia. Non è un caso se è a Parigi che Ferhat si autoproclama presidente del Governo Provvisorio della Cabilia”.
In Cabilia però l’accoglienza a questo evento oscilla tra la condanna netta (anche da alcuni membri storici del MAK) e l’indifferenza totale che rimane il sentimento più diffuso.