Nel 2006, alla fine dei mondiali, avevo mandato in giro questo pezzo. Contrariamente al solito, nessuno reagì e nessuno me lo pubblicò. Non se so sinceramente se è perchè non è stato notato o se era una specie di imbarazzo.
Ripensando a gli ultimi scontri tra Egitto e Algeria, mi è tornato in mente.
Ecco, ve lo ripropongo qua. E’ una riflessione su due figli del ghetto, della periferia, che alla fine non sono mai usciti mentalmente dai margini di questo mondo.

Torino – 13/07/2006

Questi giorni, in conclusione di un mese in cui non si parlò d’altro che di calcio e di mondiali, la faccenda Zidane Materazzi. Continua a prolungare le discussioni intorno ai mondiali oltre i limiti previsti. Soltanto che non si parla quasi più delle partite, di gioco, di risultati ma quasi esclusivamente della testata data dal calciatore Franco-algerino a quello italo-pugliese.

Da quando è scoppiata “l’affaire Zizou”, ho ricevuto vari messaggi di simpatia. Come se il fatto di essere dalla Cabilia (regione berbera del centro nord dell’Algeria) come Zidane facesse di me per forza un sostenitore incondizionato del campione.

Il più emblematico è stato l’email ricevuto da un amico palestinese rifugiato in Siria intitolato: “Zeadan is the champion.”, dove lui mi spiegava che la gente in Medio oriente è molto arrabbiata con la nazionale italiana, perché hanno giocato sporco e ferito nel suo onore quello che lui ha chiamato “mahbub al jamahir” (l’amato del popolo), un termine che mi riportò in mente i divi della canzone orientale di una volta: Um Kalthoum, Mohamed Abdelwahhab, Farid Al atrach…

Zizou quindi è l’idolo del popolo, prima di tutto perché calciatore di prima classe, probabilmente il più grande attualmente in attività (o attivo fino a poco fa), ma anche perché proveniente dalle periferie povere, perché portatore di un nome (che essendo di origine araba quindi per forza musulmano) è diventato un vero peso. Zidane è stato il riscatto dell’onore di tutti quelli che si sentono quotidianamente umiliati. Non è un caso se la lettera più forte mi è arrivata da un campo profughi palestinese. Se Zizou gioca bene e vince anche i massacri israeliani di questi giorni nei territori sembrano meno gravi.

Enorme il peso caricato sulle spalle (pur robuste) del figlio della Castellane, una banlieue povera del nord di Marsiglia.

Zizou ha fatto un percorso classico per un figlio di periferia che riesce a scapparne grazie allo sport. Piccolino gioca nel modesto club “U.S. Saint Henry” di Castellane. Si fa notare prestissimo dai cacciatori di talenti che sono numerosi in questi veri e propri vivai che sono le scuole sportive dei quartieri. A sedici anni gioca già da professionale à Cannes

Uno dei problemi delle periferie di questo mondo è che chi ne scappa, poi, difficilmente ci torna. Chi lascia l’inferno della periferia grazie allo sport, alla musica o allo studio, non ci vuole più tornare. Va ad abitare un altro mondo. Nel ghetto ci rimangono solo i malviventi, gli estremisti, coloro che sono incaricati di cercare nuove reclute per la criminalità, per il terrorismo, per la polizia, per l’esercito, la legione straniera, le organizzazioni mercenarie, per lo sport, per lo show-business… carne da macello in tutti i casi. Per ogni Zidan o Mike Tyson, quanti finiscono sui terreni e sui ring di seconda, terza e quarta categoria a prendere colpi e a imbottirsi di anabolizzanti per mantenere vivo il sogno, aspettando di finire nella discarica della storia.

Ma la cosa che è sfuggita a chi guardava da lontano, a chi non conosce il contesto italiano, è il fatto che anche Marco Materazzi è un figlio della periferia. Da lontano non si sa che Lecce o Corigliano Calabro (nel caso di Gattuso) sono per l’Italia quello che sono i Dom Tom (territori d’oltremare) o le periferie per la Francia. Non sanno che il percorso è lo stesso.

Alla fine i due, sia zizou ce marco, si sono entrambi comportati da perfetti figli della periferia, cadendo in quelle stesse trappole in cui cadono i loro fratelli meno fortunati.

Marco Materazzi si comportò da sicario della Santa Corona Unita, da mercenario: aspettò Zidan e gli sferrò un colpo micidiale con l’arma segreta, l’arma non convenzionale. Quella più sporca, che le fu consegnata in segreto, con la consegna di usarla soltanto come estrema soluzione in caso di gravi difficoltà. E in gravi difficoltà, la squadra italiana lo era in quel momento.

L’eroica difesa azzurra era asserragliata da tutte le parti. Si era a pochi minuti dalla fine. La resistenza dei gladiatori Cannavaro e Gattuso e i miracoli di Buffon non potevano reggere così fino alla fine e un goal francese in quel momento sarebbe stato una morte sicura.

Ma l’Italia non poteva perdere. C’erano troppe cose in ballo. Non c’era solo una partita di calcio. C’erano tante partite in questo mondiale. Una tra le tanti quella del così detto scandalo di calciopoli. Allora Carlo Materazzi eseguì con zelo la sua missione. Tra figli della periferia, del ghetto, si conoscono, sanno cosa può ferire l’altro. I codici culturali sono gli stessi. Quel sciagurato senso maschilista che considera che considera l’onore, quasi tutto, concentrato tra le gambe delle donne della famiglia, è uguale per entrambi. La battuta della sorella (o madre o moglie) puttana, in quelli ambienti è sempre uno sfregio imperdonabile.

Zidan colpito ridivenne Zizou il figlio della banlieue. Come i ragazzi dei quartieri che hanno reagito all’aggressione dell’ingiustizia sociale con una violenza tremenda, spesso praticata nei loro stessi quartieri (quasi autolesionista), ma che sono incapaci di elaborare una qualche forma di alternativa. Zizou, ferito nel suo orgoglio di macho mediterraneo ha caricato, a testa bassa, senza riflettere.

Hanno perso entrambi, come spesso accade, ha vinto la logica dello sport sporco, lo sport dei soldi e del vincere a tutti i costi. La stessa logica che, riportata al livello di società e di economia, sta distruggendo questo pianeta.