L’Intelletuale laica, feminista Nawal Al-Sa’dawi incontra gli immigrati a Dar Al Hikma.
In margine della fiera internazionale del libro che si è svolta a Torino dal 14 al 18 maggio 2009, si è tenuto al Centro Culturale Italo-arabo, “Dar Al Hikma” (Via Fiocchetto, 18) di Torino, un incontro con la scrittrice egiziana Nawal Al-Saadawi. Svolto in una atmosfera informale, rilassata e quasi intima, l’incontro era in presenza di un piccolo gruppo di cittadini italiani e immigrati di origini arabe. La grande scrittrice e militante dei diritti della donna ha colto l’occasione per confrontarsi e scambiare idee senza salire sulla cattedra e senza porsi come dispensatrice di concetti “prêt-à-penser”
Nawal Al-Saadawi è nata in Egitto nel 1931 a Kafr Tahla, un piccolo villaggio di contadini sulle rive del nilo. Figlia di un modesto impiegato del ministero dell’educazione, si laurea in Medicina nel 1955. Lavora con i poveri e poco a poco si specializza in psichiatria. Fin da giovane Nawal si rivela ribelle e non inclina all’obbedienza. Lotta per i diritti dei poveri, per la liberazione dal giogo del colonialismo britannico. Ma lotta anche contro l’oppressione della donna nella società egiziana e nel mondo.
Il suo impegno la porta a subire la repressione da parte di tutti i regimi regnanti in Egitto. Viene arrestata e processata varie volte, l’Università Islamica del Azhar e il movimento (clandestino) dei Fratelli Musulmani la dichiarano apostata e sulla sua testa pesano alcune condanne a morte da parte di alcune frangi estreme dell’integralismo Islamico. Ciò nonostante a 78 anni, lontana dai suoi a causa di una sentenza del tribunale che l’ha privata della cittadinanza egiziana e del diritto di rientrare nel suo paese per anni (sentenza finalmente annullata in ricorso dalla corte d’appello), Nawal non è stanca e non si arrende.
Al Centro Dar Al hikma, arriva alle 18 della domenica 17 maggio. Minuta, vestita tutta colorata, i cappelli bianchi incorniciano una faccia sorridente che mostra bontà e forza nello stesso tempo. È accompagnata da un autista della fiera e da una traduttrice (Inglese/italiano). Il gruppo che la aspetta è davvero piccolo. Qualsiasi intellettuale arabo della sua fama si sarebbe come minimo offeso se non avrebbe girato i tacchi e fosse ripartito indietro. Nawal invece saluta tutti, chiede il nome di tutti. Vuole sapere chi sono, da dove vengono le personne venute ad ascoltarla.
Quando un impiegato di Dar Al Hikma le presenta un bicchiere di tè in segno di benvenuto, lei lo sorseggia ad occhi chiusi e recita i nomi di città marocchine che il profumo e il sapore del tè verde e della menta le riportano in mente: “Tangeri, Casablanca, Marrakech… hum Marrakech che bella!”
Arrivata nella sala conferenze del Centro, rifiuta di sedersi sul palco e chiede di mettere una sedia in mezzo al pubblico e di fare una chiacchierata informale.
” Il tema sul quale volevo parlare è come scuola e società uccidono la creatività nella mente dei bambini”. Comincia un racconto che inizia all’epoca coloniale e finisce nelle aule delle università americane, dove lei oggi insegna “Creatività e dissidenza”. Le sue idee non conformiste contrarie ad ogni forma di autoritarismo e contrarie ad ogni forma di potere civile o religioso che sia che cerca di limitare la libertà di pensiero, ovviamente, si scontrano con quelle di alcuni presenti. Lei dichiara apertamente il suo agnosticismo e dice che i libri sacri sono solo uno strumento per mettere Dio, che dovrebbe essere giustizia, al servizio dei potenti. I popoli del mondo subiscono un triplice colonialismo, secondo Nawal : colonialismo imperiale dalla parte della potenza più forte del momento, colonialismo interno dalla parte dei potenti del paese e in fine colonialismo sociale da parte delle fasce più forti su quelle più deboli. La donna, ad esempio, sempre secondo la relatrice, subisce i due primi e subisce il colonialismo dell’uomo sulla sua vita, sul suo corpo. E a dare legittimità e sacralità a questo sistema colonialista e di classe ci sono innanzitutto i libri sacri, le religioni.
Questa idea non poteva passare incontestata da parte dei credenti convenzionali presenti nella sala.
Il dibattito fu animato, lungo, faticoso… ma mai, mai violento. Le idee si sono scontrate. Spesso ci si incamminava in un vicolo cieco. Le contrapposizioni erano troppo forti. Ma a nessun momento ci fu da una parte o un’altra un attacco diretto alla persona.
Il dibattito terminò per stanchezza della relatrice provata dal Jet lag (per la differenza di circa 7 ore di fuso orario tra il New Jerzey, dove lei vive in esilio, e Torino). Si ritirò sfinita ma sempre sorridente, scusandosi di non poter dare di più. Partita lei, il pubblico rimase a lungo, a gruppetti, a continuare la discussione. Quella domenica, la relatrice e i presenti alla conferenza di Nawal Al-Saadawi a Dar Al-Hikma hanno dato un bel esempio di come anche chi ha idee diametralmente diverse può dialogare, smentendo così di fatto la teoria che vuole i musulmani incapaci di confrontarsi e dialogare. Ma ovviamente queste cose non vanno mai a finire sulle colonne dei giornali nè nei talk show televisivi.