“Cos’è Porta Palazzo per Torino, secondo voi?” Chiede la signora V.
V. è psicologa e formatrice in gestione nonviolenta dei conflitti. È impegnata da settimane in un percorso di iniziazione alla risoluzione non violenta dei conflitti destinato ad un gruppo di abitanti e di operatori del quartiere più stigmatizzato di Torino. In sala c’è di tutto: uomini e donne, giovani e meno giovani abitanti di porta palazzo per scelta o per costrizione, gente che ci sta per lavoro e altre per impegno sociale.
Nuruddine il pizzaiolo egiziano costretto a vivere in uno dei condomini più problematico dell’area, si chiede perché succede nel suo condominio ciò che è impensabile a cento metri da lì.
Carmine, pensionato e impegnato in un comitato cittadino, si chiede perché le autorità locali promettono tanto ma poi non muovono un dito.
La signora Giuseppina, venditrice di antiquariato al mercato del Baloon, racconta la guerra dei poveri contro poverissimi per vendere stracci nel mercato del sabato.
Valerio, si stringe le spalle e sbuffa, arrossisce e poi dice “non fatemi parlare che è meglio!”
Lui è impiegato delle forze dell’ordine e spesso gli sguardi si rivolgono verso di lui per capire. Ma lui è impotente. Non sa o non può rispondere.
Ci sono le suore che cercano di creare una comunità al servizio delle donne della zona. Tra loro c’è Rosario, straniera, é arrivata da poco dall’Africa. Ha ancora negli occhi il sogno dell’occidente “pulito e democratico”. Non capisce perché a porta Palazzo, come nella baraccopoli da cui proviene, si vedono spesso strani scambi tra piccoli criminali e rappresentanti della legge.
C’è nella sala tutto il mondo di Porta Palazzo o quasi… Mancano i fantasmi, quelli che la popolano senza esistere veramente. Mancano quelli che fanno girare gli affari di Porta Palazzo. Non c’è nessuno del mondo dei “senza documenti, senza voce”: La miniera d’oro e di problemi di Porta Palazzo. Quelli che si alzano all’alba per caricare e scaricare le casse di merce. Quelli che fanno funzionare cantieri e fabbrichette di tutta la provincia. Quelle che puliscono i sederi di tanti bambini e anziani. Quelli che vendono per strada ai figli di Papà la polvere dei sogni che la mafia fa arrivare per loro a tonnellate da lontano, molto lontano.
In sala c’è anche Giovannin. Come al solito, ascolta tutti e non interrompe mai, ride poco alle battute e riflette molto.
Approfittando di un silenzio un po’ d’imbarazzo, un po’ d’impotenza dopo l’intervento della suora, interviene parlando lentamente e pesando ogni parola.
“Porta Palazzo, secondo me, è nello stesso tempo la mangiatoia e il cesso di questa città. Tutti ci mangiano ma tutti cercano di scaricarci la loro cattiva coscienza. Porta Palazzo fa comodo alla città perché é così vicina e così fuori dal cuore della città nello stesso tempo. È il vivaio di schiavi da sfruttare nei mercati del lavoro nero, nel mercato della droga e in quello del sesso. Così è oggi e così è sempre stata. Nello stesso tempo serve da spauracchio per ‘la gente per bene’. Serve a mantenere quel poco o tanto di paura che serve in tempi di crisi o in tempi di elezioni. Fa sempre comodo a chi governa avere una riserva di schiavi ma anche di capri espiatori da lapidare in tempi di calamità o di carestie.”
Giovannin finì di parlare senza mai alzare il tono e poi si rimise a scarabocchiare sul quaderno che aveva sulle ginocchia. La sala ripiombò nel silenzio. Valerio, il funzionario statale, lo fissa, più di tutti, con una strana luce negli occhi. Sembra quasi sollevato.