Cosa posso sentire oggi, io, di fronte a quello che succede in Egitto? Cosa possono sentire milioni di Algerini, di fronte al caos che colpisce questo paese vicino?

L’altro giorno su Facebook ho visto un post di un famoso blogger egiziano, Wael Abbas, che diceva: “benvenuti in Algeria!”. Qualche giorno dopo mentre ero in macchina la “redazione esteri” di Radio Popolare (capeggiata da un giornalista di origine algerina, Chaouki Senoussi) tentò una analisi in cui spiegava sostanzialmente che “la situazione egiziana non è paragonabile a quella algerina del 1992 perché all’epoca in Algeria gli Islamisti non avevano la maggioranza.”

Ed è tutto un ping-pong di opinioni sul web e sui giornali tra chi sostiene che i due scenari siano uguali e chi sostiene il contrario.

bambini-morsiSicuramente sentendo, vedendo quello che succede in Egitto tutti i giorni, non posso fermare il mio pensiero dal volare verso quei giorni traumatici vissuti tra il 1991 e il 1992.

Nel 1988 ci fu una insurrezione generale. Che non assomigliava nella forma a quelle di che in questi anni hanno messo fine ad alcuni regimi arabi. I tempi erano diversi. L’Algeria era un paese socialista (almeno ufficialmente) e se non faceva parte del blocco sovietico era comunque alla sinistra dell’organizzazione dei non allineati. Il ghiaccio della guerra fredda si stava sciogliendo e il “wind of change”, come canteranno gli “Scorpions” 3 anni dopo, il vento del cambiamento cominciava a soffiare. Ma invece di svegliare le masse sottomesse alle dittature svegliò prima l’appetito vorace delle leadership corrotte: Era ora di sbarazzarsi del guscio socialista per far fruttare le fortune e il potere acquisiti in quel contesto ormai svuotato di significato e di fascino in quello del capitalismo.

Il terrore poliziesco era arrivato alle stelle. Il cantante dissidente Matoub Lounes cantava: «Due Lettere instaurano la paura: S e M. Siamo terrorizzati anche in pieno giorno». SM erano le iniziali di “Sécurité Militaire”, i servizi segreti. Ma ciò nonostante il fronte sociale era caldo, c’erano scioperi e manifestazioni, sempre duramente represse, un po’ ovunque. L’inflazione era alle stelle. Lo stipendio medio permetteva giusto di comprare le cose vendute a prezzo sostenuto nei negozi di stato. Peccato che questi erano quasi sempre vuoti. La rendita degli idrocarburi che aveva assicurato un benessere relativo per anni era entrata in crisi. I paesi del Golfo Persico stavano inondando il mercato sotto milioni di barili di petrolio al giorno. Iran e Iraq che erano in guerra lo facevano per sostenere lo sforzo bellico. Le monarchie arabe semplicemente per destabilizzare il mercato a loro favore. Il petrolio era sceso sotto la soglia dei venti dollari al barile. Per paesi che non avevano la capacità produttiva della penisola araba e popolazioni molto più numerose furono anni duri. E l’Algeria era una di quelli.

Guardare l'Egitto e ricordare l'Algeria
scontri nelle strade di Algeri nel 1988

Il 5 ottobre 1988 è tutto il sistema che entra in collasso. È l’insurrezione generale. Ma le scintille scatenanti partono da dentro il regime stesso. Chadli Bendjedid, l’allora presidente della repubblica in un discorso alla nazione in TV invita la gente a sollevarsi se vogliono il cambiamento. Tante città del paese sono messe a fuoco da bande di cittadini furiosi. Davanti all’incapacità delle unità antisommosse della polizia a ripristinare l’ordine, l’esercito esce nelle strade e la repressione si fa spietata. I militari sparano abbondantemente sulla folla.: si parla di 500 a 800 morti. Migliaia i feriti, arresti e tortura in numeri considerevoli.

Ma oltre l’invito a sollevarsi lanciato in televisione dal presidente, ci sono tante altre stranezze nell’insurrezione del 1988.

Uno: l’onda coinvolge tutto il Nord del paese, stranamente, tranne la Cabilia, regione sempre pronta a scattare;

Due: gli attivisti dei movimenti di sinistra, tra cui lo scrittore Kateb Yacine, sono arrestati la vigilia dell’inizio degli scontri; ( Abed Charef, Algérie ’88 Un chahut de gamins.? Laphomic, Alger, 1990 ).

Tre: Mentre la repressione preventiva si abbatte sugli attivisti di sinistra, gli integralisti del futuro Fronte Islamico della Salvezza (FIS) hanno tutta la libertà di movimento di cui hanno bisogno e riescono ad organizzare una manifestazione durante il coprifuoco generale e a recuperare così a loro profitto la rabbia dei giovani, delle vittime della tortura e delle famiglie dei caduti.

Quelli eventi segnano due grandi cambiamenti: proclamazione della liberalizzazione della politica e soprattutto dell’economia e l’entrata in campo degli islamisti come attori politici di primo piano.

Dopo le riforme politiche, il paese entra in una vera fase euforica. Ci sembra di essere usciti definitivamente dal tunnel. La parola “dimuqratiya”, democrazia, si mangiava a tutte le salse. I partiti politici crescono come funghi, i chioschi a giornale che finora vendevano solo quelli del partito esibiscono una miriade di nuove testate. La tv e la radio nazionale si apre alle opposizioni o almeno fa finta di farlo. Si parla di politica ovunque… Ma la doccia fredda non tarda ad arrivare.

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Il figlio di Ali Benhadj arringa la folla

Mi ricordo come oggi del 12 giugno 1990. Ci sono state le prime (e ultime)elezioni amministrative libere . Avevo monitorato lo spoglio delle schede nel nostro comune e quando uscì vittorioso il Fronte delle Forze Socialiste (FFS), anche se non sono mai stato uno di loro, visto che militavo molto più a sinistra, sono andato a festeggiare la vittoria con i suoi elettori. Quello che si festeggiava non era la vittoria di quel partito, ma la meraviglia di vedere finalmente una elezione non teleguidata. Ma il mattino del 13 ci aspettava uno choc. Il Fronte Islamico della Salvezza aveva letteralmente conquistato il paese: 54% di voti, maggioranza in 46% dei consigli municipali e 55% dei consigli di Wilayat (Province).

Dopo quello tsunami il sogno era finito e poco poco scivolò verso l’incubo. Le pressioni da parte dei militari obbligano il governo a rimandare la data delle legislative. Gli islamisti sicuri di vincerle cominciano un vero braccio di ferro. Sciopero generale, Sit-in nelle piazze di Algeri. Una situazione che durò varie settimane fin quando interviene l’esercito a sgomberare le piazze e fa arrestare alcuni membri della direzione del Fronte Islamico della Salvezza. Tra gli arrestati i due principali leader, rappresentanti delle principali correnti del Fronte: Abbassi Madani (presidente del consiglio direttivo e figura “moderata”) e Ali Behhadj (vice presidente e leader carismatico dell’ala dura del movimento).

Nel frattempo molte cose sono successe anche a livello internazionale. Il Fronte Islamico era sostenuto e finanziato dalle monarchie del Golfo Persico (sempre loro, sì). Nella notte del 2 agosto 1990 l’esercito iracheno invade il Kuwait. La direzione del Fis è ovviamente per il sostegno della monarchia islamica contro il mostro laico iracheno. Ma nel meeting che organizzano in una sala polisportiva di Algeri per annunciare la linea da seguire trovano una sala scaldata a bianco, ma lo slogan cantato è: “Ya Saddam Ya habib /damar damar Tal Abib!”, (Saddam amato nostro /distruggi distruggi Tel-Aviv). Il militante medio del Fis di quelli anni era in genere un islamista di fresca data. L’Islam politico fino agli anni 90 aveva poco pubblico in Algeria. E i giovani che erano entrati in massa nel partito di Dio, più per ripicca contro le repressioni che per altro, erano cresciuti come tutti noi a pane e anti-imperialismo. E per tutti noi le monarchie del Golfo erano la mano dell’imperialismo americano nella regione, punto e basta. La direzione del Fis era davanti a un dilemma: sostenere il Kuwait e perdere la base o sostenere Saddam e perdere i petrodollari. Preferirono la base. Il Fis ne usci indebolito economicamente ma più popolare che mai.

Dopo la repressione il governo organizzò lo stesso le elezioni legislative, con qualche mese di ritardo e con i leader del Fis in carcere. Il 26 dicembre 1991 fu un nuovo tsunami, più grande del primo. Al primo turno avevano già il 48% dei seggi parlamentari, ed erano in ballottaggio in molte province. Era chiaro che se ci fosse stato il secondo turno avrebbero vinto la maggioranza assoluta. Si parla ovunque di pressioni e brogli. Mohamed Said, uno dei nuovi leader della nuova direzione annuncia che “gli algerini si devono preparare ad un cambiamento nel modo di vivere.” L’ombra della polizia religiosa, come in Arabia Saudita, planava sulle strade di Algeri.

L’11 gennaio 1992 l’esercito occupa le piazze. Il Presidente Chadli Bendjedid è costretto a dimettersi. L’esercito nomina un governo provvisorio e chiama a dirigerlo un eroe della guerra di liberazione che aveva vissuto fin a quel momento in esilio: Mohammad Boudiaf. Il Fis è sciolto per decisione giudiziaria e decine di migliaia di militanti e eletti locali del movimento sono deportati senza processo verso dei campi di tende in mezzo al deserto. Il seguito lo sappiamo: lacrime e sangue per quasi due decenni.

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